Convenzione europea sull’adozione dei minori

Il 27 novembre 2008 è stato aperto alla firma dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa il testo di una nuova Convenzione sull’adozione dei minori, destinata a sostituire la precedente Convenzione sulla stessa materia del 24 aprile 1967 (ratificata dallo Stato italiano con legge n.357 del 22 maggio 1974).

L’obiettivo perseguito dai redattori di tale testo (elaborato tra il 2003 e il 2008 da un gruppo di esperti di diritto di famiglia) (1) è estremamente ambizioso. Nel suo preambolo si trova infatti scritto che – in conformità alla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo e alla Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale – la nuova Convenzione si propone, nel superiore interesse del minore, di promuovere un insieme di regole comuni destinate ad armonizzare la legislazione dei diversi Stati europei per quanto riguarda la procedura adozionale e gli effetti giuridici dell’adozione, e ciò alla luce delle evoluzioni sociali e giuridiche intervenute nel corso degli ultimi anni.

In particolare, nella Fiche d’information redatta il 12 febbraio 2008 dall’addetta stampa del Consiglio d’Europa (2,) si precisa che la “revisione” della precedente Convenzione “risponde agli imperativi della modernità” e si adegua alla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu).

Nonostante le dichiarazioni di principio e l’esplicito riferimento al “superiore interesse del minore” contenuti in numerosi suoi articoli, il testo della nuova Convenzione non consente di intravedere un effettivo salto qualitativo in tema di rafforzamento della tutela dell’infanzia in difficoltà. In effetti, l’impianto della precedente Convenzione del 1967 ne esce sostanzialmente confermato (e, in alcuni punti, addirittura peggiorato) in tutti i suoi difetti e in tutte le sue lacune. E’ quanto si verifica per quel che riguarda:

la matrice consensuale (attuale art. 5 conv., sulla falsariga del medesimo articolo della precedente versione ) che si continua ad attribuire all’adozione, perpetuando una dimensione privatistica di stampo negoziale definitivamente superata nel nostro Paese (è significativo che nessun accenno venga fatto al ruolo determinante da assegnarsi alla dichiarazione di adottabilità dei minori privi di cure familiari);

la revocabilità dell’adozione (attuale art.14 conv., a confronto con il precedente art.13);

la possibilità che la domanda di adozione sia presentata da uno solo dei componenti della coppia (art.10, c.2, lett.c, conv., a confronto con il vecchio art. 9);

lo stato giuridico delle persone abilitabili all’adozione di cui all’art.7 conv., che comprende ormai ogni sorta di situazioni giuridiche e di fatto (dalle coppie eterosessuali e omosessuali coniugate a quelle unite da un partenariato registrato o da una stabile convivenza, alle persone singole);

la regolamentazione dell’età degli adottanti, che all’art.9 conv. continua inspiegabilmente (così come il vecchio art.7) a non porre alcun limite massimo all’età degli adottanti e alla differenza di età tra gli stessi e l’adottato, concentrandosi altrettanto inspiegabilmente sulla sola età minima degli adottanti (da fissare, a discrezione dei singoli Stati, in una fascia compresa tra i 18 e i 30 anni);

l’ammissibilità generalizzata di “altre forme di adozione ad effetti più limitati” (art.11, c.4, conv.), che apre così indiscriminatamente all’introduzione in tutto il circuito europeo dell’”adozione mite” e dell’”adozione aperta”.

Come tutto ciò possa coincidere con gli “imperativi della modernità” sopra enfatizzati ed assicurare una risposta efficace alle esigenze affettive dei minori, riesce davvero arduo immaginare.

A fronte di queste connotazioni di segno fortemente negativo, va dato atto ai redattori della Convenzione di aver introdotto qualche nuova regola in grado di indurre tutti gli Stati europei a uniformarsi nella materia adozionale ad uno standard minimo di garanzie:

– gli articoli 1, c. 2, e 11, c. 1, conv. meglio precisano, rispetto alla precedente Convenzione (articolo 10), gli effetti legittimanti da riconoscere all’adozione piena, affermando il legame di filiazione che consegue alla sua pronuncia, unitamente alla cessazione dei rapporti giuridici con la famiglia di origine che ne deriva;

– viene introdotto l’obbligo di subordinare la pronuncia di adozione al consenso del minore che abbia raggiunto una sufficiente capacità di discernimento e che, in ogni caso, abbia raggiunto i 14 anni di età (art.5, c.1, lett.b, conv.), nonché la raccomandazione di sentirlo comunque, a prescindere dalla sua età (art. 6 conv.);

– si dispone che la pronuncia di adozione sia altresì subordinata all’esito positivo di un congruo periodo di affidamento probatorio (art. 19 conv.);

– è affermato il diritto dell’adottato che ha raggiunto la maggiore età ad essere informato sulle proprie origini, compatibilmente con il diritto al segreto assicurato alle partorienti (art. 17 conv.) e sotto il controllo delle autorità (art. 22 conv.).

Peraltro queste regole (che sono ormai, da tempo, patrimonio comune delle legislazioni più progredite in materia), vengono enunciate in termini assolutamente generici, senza venir inserite in un preciso contesto organico e senza essere coordinate con altre disposizioni della stessa Convenzione con le quali si pongono in evidente posizione di conflitto (si pensi, ad esempio, alla concreta difficoltà di conciliare l’“effetto legittimante” dell’adozione con la sua “revocabilità” oppure l’esercizio del “diritto all’informazione sulle proprie origini” con la “segretezza del parto”).

Stupisce inoltre, che in nessun passaggio della Convenzione e dei documenti esplicativi che la corredano si sia avuto il coraggio di affermare a chiare lettere che il diritto del minore a una valida famiglia degli affetti deve sempre prevalere sul preteso diritto degli adulti ad adottare.

La mancanza di una premessa di questo tenore ha comportato, di conseguenza, l’omissione di qualsiasi riferimento agli interventi pubblici di sostegno alle famiglie in difficoltà, indispensabili a prevenire le situazioni di abbandono; così come nulla è stato disposto in merito ai criteri minimali cui uniformarsi nella definizione delle procedure preordinate all’accertamento e alla dichiarazione dello stato di adottabilità, al fine di assicurare l’effettività della difesa sia nei confronti delle famiglie di origine che dei minori.

Priva di giustificazione appare, poi, la totale mancanza di un qualsiasi riferimento al dovere degli organismi istituzionalmente competenti di promuovere iniziative indirizzate a sensibilizzare la pubblica opinione sulle tematiche legate alla cultura dell’infanzia e di organizzare corsi di formazione nei confronti degli aspiranti all’adozione; così come va censurata la mancata responsabilizzazione di tali organismi per quanto riguarda gli obblighi di segnalazione alle autorità delle presumibili situazioni di adottabilità dei minori.

Nel tirare le somme di questa complessiva ricognizione, non sembra proprio che le poche migliorie apportate dalla presente Convenzione al testo del 1967 valgano a far venir meno le gravi e pericolose incongruenze rilevate nella stessa, che appaiono in netta controtendenza rispetto alle conquiste realizzate dai Paesi più avanzati per far fronte al disagio infantile.

Pertanto, considerate le potenziali conseguenze giuridiche legate alla sottoscrizione del nuovo documento (rinvenibili nell’obbligatorio adeguamento della legislazione interna alle direttrici di fondo della Convenzione), non resta che auspicare che lo Stato italiano comunichi al Consiglio d’Europa la propria decisione negativa circa la firma e la conseguente ratifica della Convenzione e ne denunci il contenuto del tutto insoddisfacente, in quanto superficiale e potenzialmente dannoso, invitando nel contempo gli estensori della stessa a porre mano ad un testo di più alto profilo, che sia in linea con i progressi maturati nella società civile nel settore della protezione dell’infanzia.

(sintesi a cura di Graziella Tagliani dell’articolo pubblicato sul numero 167 della rivista Prospettive assistenziali a firma del Dr. Pier Giorgio Gosso)